Se un giorno vi troverete – per caso o non per caso – in quel che rimane del Passo della Focolaccia, sella di origine glaciale che delimita esattamente la provincia di Lucca da quella di Massa abbassata di ben novanta metri dall’umana idiozia, potrete notare una piccola ma iconica struttura in muratura prospicente il mare.
Quell’imperfetta ogiva dal color rosato – costruita nel 1902 dalla Sezione Ligure del Club Alpino Italiano – si chiama bivacco Aronte, proprio in omaggio a quell’indovino etrusco citato da Dante Alighieri nel XX canto dell’Inferno e che gli Dei vollero porre a difesa delle Alpi Apuane.
Ma oltre ad accogliere alpinisti, escursionisti o semplici viandanti, questo nido d’aquile sito a 1642 metri sul livello del mare, dal luglio 1959, quando fu dato il primo colpo di martello pneumatico alla cresta che allora collegava il Monte Cavallo alla Tambura, costituisce un importantissimo presidio di resistenza contro uno dei peggiori disastri ambientali a livello mondiale.
Negli anni scorsi – purtroppo – la vita di questa sentinella apuana è stata a più riprese messa a repentaglio da scellerate ipotesi di escavazione in galleria con la quale si intendeva eviscerare il purissimo marmo- situato proprio sotto il basamento del più antico rifugio di tutta la catena montuosa.
La posizione di uno dei simboli di questi monti, si aggravò poi nel 2006, quando la scellerate giunta Neri del Comune di Massa, cedette la concessione di escavazione degli agri marmiferi incolti del monte Tambura – compresi anche i 100 metri quadrati dove è allocato il Bivacco Aronte ad una ditta con amministratore siriano che, teoricamente, avrebbe potuto disporre a proprio piacimento…
A maggio dell’anno scorso – fortunatamente – dopo un encomiabile lavoro di ricostruzione storica da parte della Professoressa Franca Leverotti , il Ministero per i Beni Culturali e per il Turismo, ha dichiarato il bene denominato “Bivacco Aronte” edificio di interesse culturale e quindi sottoposto ai vincoli e alla protezione di legge.
Ricostruzione storica
La capanna -rifugio denominata Aronte, costruita nel 1901 dalla sezione Ligure del CAI ed inaugurata il 18/5/1902 è il rifugio più vecchio del complesso montuoso delle Apuane, ed è anche il bivacco situato più in alto di tutta la catena, a m. 1642 di altezza, su una cengia, a breve distanza dal passo della Focolaccia nel monte Tambura, un tempo denominato “Alta”.
A seguito della richiesta del CAI Ligure nel marzo 1901, il Comune di Massa assegnò prontamente al CAI di Genova 100 mq sulla costa del monte Cavallo, in un’area di piena disponibilità comunale. La cessione risale al 1906 e fu stesa tra l’avvocato Brugnoli, sindaco di Massa e il presidente del CAI di Genova Lorenzo Bozano fu Domenico. A questa data, come scrive L. Bozano, vicepresidente del CAI di Genova tra 1898 e 1903 nella Rivista mensile del CAI del 1902 <<l’esplorazione alpinistica delle Alpi Apuane può dirsi completata>>.
Progettata da Carlo Agosto, costituita da un unico vano ed attrezzata per ospitare fino a dieci persone, la struttura non è mai stata modificata rispetto alle forme originarie (v. sequenze fotografiche) e si caratterizza per quel tetto a volta, scelto su suggerimento del capomastro locale Ferdinando Rossi che lo preferì al tetto con un solo spiovente[1].
Quello che è drammaticamente cambiato a partire dagli anni ’70 è la devastazione provocata dall’attività estrattiva non regolamentata. Non solo è stato abbassato il passo della Focolaccia di circa 70 m e il crinale è stato tagliato, ma il Comune ha autorizzato a servizio della cava situata sul crinale la costruzione di boxes, di imponenti contenitori per l’acqua e di un grande casamento a 2 piani con 14 posti letti.
La costruzione del bivacco in quota sfruttava la presenza di due antiche vie di lizza, oggi in parte sentieri CAI, costruite ad uso delle cave aperte in questa zona alla fine dell’Ottocento dagli imprenditori massesi Magnani e Guerra [2].
L’alpinismo, che poco aveva toccato questa parte delle Apuane, si intensifica come nella catena Alpina a partire dall’Unità d’Italia (il Club Alpino Italiano fu fondato dal ministro Quintino Sella nel 1863) ed è praticato da aristocratici e borghesi per parafrasare Alessandro Pastore[3]. Quando la capitale viene trasferita a Firenze, anche in questa città si fonda la sezione del CAI, cui afferiscono deputati, senatori, funzionari, nobili e professionisti.
Ma la ricchezza artistica di Firenze e della Toscana attiravano anche molti forestieri, inglesi e francesi che, forti delle esperienze in patria, dedicarono attenzione particolare anche alle montagne e ovviamente alle Apuane, attirati inizialmente dalla Pania della Croce: W. D. Freshfield, F. J. Devouassoud, F. F. Tuckett, R. H. Budden che fu anche presidente del Cai fiorentino dal 1874 al 1895. Con F. F. Tuckett l’interesse alpinistico si indirizza al Pisanino e al Solco d’Equi (1883) che viene esplorato a partire dalla Pania e dalla Garfagnana.
L’afflusso di alpinisti-esploratori, forestieri e non, portano alla nascita della sezione garfagnina (1876) e versiliese (1877) del CAI ed alla fondazione di una biblioteca specializzata a Lucca (1878) con la produzione di nuovo e importante materiale cartografico e geologico. Presto compaiono le prime guide: nel 1874 della Guida delle Alpi Apuane di C. Zolfanelli e V. Santini di carattere più turistico, con la sola eccezione della descrizione del percorso relativo al Solco d’Equi; nel 1876 esce Itinerario per escursioni e ascensioni alle più alte come delle Alpi Apuane di E. Bertini (fondatore della sezione di Prato) e I .Triglia(iscritto a Firenze) compilata per il IX congresso degli alpinisti tenuto a Firenze, dedicata alle ascensioni delle cime più alte fino ad allora raggiunte. Sono i pastori locali le prime guide degli escursionisti, perché i locali raramente salivano sulle montagne.
Dagli anni ’80 l’alpinismo ligure finora proiettato nelle Alpi marittime e sul monte Bianco, il Rosa, il Cervino, si sposta in Apuane (Pasquale Veronese è autore della prima ascensione invernale sulla Pania della croce) dove già avevano fatto incursioni i livornesi con Axel Chun fondatore della sezione di Livorno. Tra 1885 e 1890 il Cai ligure si concentra nell’area del Sagro, Pisanino e Tambura con “una esplorazione a tappeto di picchi, guglie, pareti” (Contrario, Cavallo, Grondilice, Sagro, Garnerone). Il radicamento genovese trova una sponda importante nel fatto che a Forno si era sviluppata ad opera di imprenditori torinesi (Poma) e genovesi (Ambrosi, Schiaffino, Giovan Battista Figari) una importante fabbrica per la lavorazione del cotone (la Filanda) costruita tra il 1880 e il 1890 con un conseguente collegamento tramviario dalla stazione ferroviaria al paese di Forno, l’apertura di una farmacia e di un presidio medico. Tra i quadri dell’azienda, per lo più genovesi residenti a Forno, troviamo Dallepiane e Figari, cognomi anche di alpinisti con i quali non è da escludere fossero imparentati o comunque legati da rapporti di amicizia. Nella Cronaca sull’inaugurazione del rifugio si cita il trasferimento “nei comodi carrozzoni della Tramvia Massa-Forno, messi a nostra disposizione, da un benemerito collega, il sig. G. B. Figari”, cioè il comproprietario del Cotonificio.
Dopo la costruzione del bivacco, le ripetute ascensioni invernali ed estive, la conquista di vette e creste, e le prime traversate diventano continue e regolari e si denominano le vette conquistate, fino ad allora indicate al massimo con l’altitudine, ad esempio punta Carina, dal nome della moglie di Bartolomeo Figari, Caterina; punta Questa, torrione Figari. Nel 1905 esce la nuova guida, ancora oggi ineliminabile punto di riferimento, curata da Lorenzo Bozano esperto alpinista della prima ora insieme con il fratello Cristoforo, dal geologo Gaetano Rovereto e dall’ing. Emilio Questa.
Costruito il rifugio, responsabile dello stesso e guida ufficiale divenne Giovanni Conti di Resceto, poi seguito dal figlio Nello e da ultimo da un figlio di Nello, Mario, recentemente scomparso.
Il rifugio abbandonato negli anni ’70 fu ceduto in comodato nel 1988 al Cai di Massa che lo restaurò nel 1989 e nel 2002.
Documentazione storica:
Il Museo della montagna a Torino conserva oltre a una preziosa foto di poco precedente l’inaugurazione del rifugio, un libro del rifugio con firme dal 1902 al 1914, i tre libretti della guida Giovanni Conti che coprono il periodo dal 1933 al 1955, alcuni libretti di guida attribuiti a Giovanni Conti (ma probabilmente di Nello) dal 1914 al 1931, e il libretto di Mario Conti dal 1953 al 1969. Materiale storico importante sia per la storia delle ascensioni in Apuane, sia per analizzare la società che allora praticava la montagna: gruppi di giovani legati da frequentazioni scolastiche e universitarie, da parentela e dinastie familiari ancora da ricostruire: i Cecchini e i De Ferrari di Massa, gli Sberna di Firenze. Come esempio dell’importanza di questo materiale ancora tutto da studiare alleghiamo due pagine dell’agosto 1920, tratte probabilmente dal libretto di Nello Conti, pubblicate nel volumetto del Centenario che riportano le firme di Enrico Fermi[4] e dei cugini Ferruccio Pontecorvo[5] e Tullio Ascarelli[6] e del loro coetaneo e parente Enzo Sereni[7].
Si allega parte del materiale fotografico storico acquisito.
Franca Leverotti
Massa, 19 marzo 2019
[1] Sulla costruzione si veda C. Mariani, L’ombrello di Freshfield. Relazioni di viaggio e storia dell’esplorazione nelle Alpi Apuane (1865-1905), Pisa 1986 pp. 64-72 e 177-178, e Il rifugio Aronte fra M. Cavallo e M. Tambura m. 1650, 1902-2002 Cento anni di Aronte, a cura Club Alpino Italiano sezione di Massa, Viareggio 2002
[2] F. Braedley, E. Medda, Le strade dimenticate, Massa (Provincia di Massa) 1989 e E. Medda, Le cave di Massa. L’escavazione del marmo sulle Apuane massesi dalle origini alla fine dell’Ottocento, Comune di Massa s.d.
[3] A. Pastore, Alpinismo e storia d’Italia, Bologna il Mulino 2003
[4] Si tratta del noto fisico laureatosi nel 1922 alla Scuola Normale di Pisa di cui si conservano alcune foto sulla Tambura a testimonianza dell’interesse per la montagna.
[5] Figlio di Giacomo e Emma Tivoli (n. 1900 m. 1965) appassionato escursionista, è ricordato nel 1927 in Valle d’Aosta con Giovanni Enriques (v. S. Gerbi, Giovanni Enriques dalla Olivetti alla Zanichelli, Hoepli 2013, p. 35). Di Giovanni Enriques si ricorda una traversata delle Apuane di 14 giorni nel 1922 con allievi del liceo Michelangelo di Firenze: non è da escludere che se ne trovi traccia nei libri delle guide.
[6] Cugino di Pontecorvo, figlio di Attilio e di Elena Pontecorvo, nato nel 1903, docente di diritto commerciale è costretto a lasciare l’Italia nel 1938. Rientrerà in patria nel 1947.
[7] Enzo Sereni, figlio di Alfonsa Pontecorvo e Samuele Sereni, medico del re d’Italia, fratello dello storico Emilio, nato nel 1905, si era sposato giovanissimo con Ada Ascarelli ed era emigrato in Palestina. Si era fatto paracadutare nel 1944 al di là della linea gotica in paesi che ben conosceva, ma era stata catturato a Maggiano (Lucca) e fu fucilato a Dachau. La moglie tra 1945 e 1948 si attiva con moltissime difficoltà per far arrivare in Palestina le navi che trasportavano gli ebrei sopravvissuti all’olocausto.
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